Mio nonno materno era un bell'uomo, io lo ricordo già anziano, magro e di bel portamento, con un bel sorriso. Lui e nonna Gina mi facevano sedere tra loro, sull'Ape Piaggio con cui andavamo a coltivare un orticello poco fuori dal paese. In un altro orticello, vicino a casa, aveva delle piante di pesco che davano le pesche più grandi, succose e pelose che abbia mai visto e assaggiato. Avevano una peluria bianca e soffice come gattini e quando erano mature erano dolci come il paradiso.
Nonno Marino aveva fatto il militare nei bersaglieri: mamma conserva alcune sue foto con il bel cappello piumato, sembra un attore.
Quando fu richiamato per il fronte con il suo reggimento, all'ingresso dell'Italia nella Seconda Guerra Mondiale, si presentò al comando a Livorno pronto per partire, ma... arrivò in ritardo. Il suo gruppo si era già imbarcato da Trieste per l'Albania. Gli ufficiali si arrabbiarono molto con lui: dove lo mandiamo adesso questo? Gli altri sono tutti già imbarcati!
Ma nonno era un tipo pieno di inventiva e con una certa faccia tosta: fece in modo di parlare con un generale, che ne apprezzò i modi e accettò di prenderlo come attendente. Anche perché nonno gli disse che faceva il giardiniere e poteva sistemare il giardino della sua villa. Giardiniere! Nonno era mezzadro, bravissimo sicuramente (ne sono la riprova quelle pesche paradisiache), ma era un semplice contadino.
Il generale gli ordinò di procurargli e piantargli delle piante nel suo giardino: nonno, senza fare una piega, tornò a casa, andò nel bosco e sradicò con attenzione, radici terra e tutto, qualche arbusto un po' più presentabile, li piantò nel giardino del generale e fece la sua bella figura.
Rimase in Italia e non partì mai per il fronte. I suoi commilitoni furono quasi tutti sterminati, nel freddo delle montagne albanesi e nelle disfatte in terra di Grecia. Così, il caso, la fortuna e un po' di faccia tosta salvarono mio nonno dalla macelleria della guerra.
Non andò altrettanto bene al fratello, Lido. Lo ricordo bene, zio Lido, alto e magro, con gli occhi chiari e i baffi. Lui in guerra ci andò, e come molti ragazzi dopo l'armistizio fu preso prigioniero dall'esercito tedesco. Ebbe, tutto sommato, fortuna, perché tornò vivo. Magro, distrutto, malato di polmonite, ma vivo.
Non raccontava nulla di quell'esperienza, come molte persone che subirono sulla propria pelle quegli orrori, e peggiori ne videro. Solo una volta, raccontò della fame, immensa, straziante, e di una ragazza tedesca che dalla rete che delimitava il campo di detenzione gli lanciò un tozzo di pane. Lo divorò e pianse, e avrebbe voluto ringraziare quella ragazza senza nome. E quando gli chiedevano di raccontare qualcosa di come li trattavano, disse solo, una volta, che certe cose non dovrebbero accadere mai, che lui aveva visto ammazzare un ragazzo di vent'anni annegato con la testa infilata in un secchio di acqua gelida... Queste cose no, non le voleva raccontare.
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